Arte che aiuta
Avete mai sentito parlare di art therapy? È provato che avvicinare le persone all’arte rappresenti per loro un aiuto. La dimensione della pittura, della musica, della letteratura li trasporta in dimensioni in cui si sentono più sereni.
Abbiamo bisogno di “altro”. Che il nostro ruolo sia quello di “care givers” o che ci troviamo nel ruolo di assistito. È provato che anziani e ammalati trovano non solo evasione ma beneficio nella pratica di alcune attività artistiche, persino se affetti da patologie difficili come l’Alzheimer.
Vediamo qualche esempio riuscito di stimolazione in Italia.
In Toscana, in provincia di Firenze, esiste un sistema di biblioteca a domicilio. Il comune di Bagno a Ripoli ha istituto un servizio di biblioteca itinerante, che porta libri a casa ad anziani e persone con disagi.
L’Amministrazione comunale ha progettato un porta a porta: non si tratta di cibo o di farmaci ma di romanzi, gialli e libri d’avventura, per persone anziane, disabili o con difficoltà motorie che impediscono di recarsi personalmente in biblioteca.
Insieme ai volontari dell’Auser, la biblioteca recapita libri, audiolibri, cd musicali; ogni cittadino del posto e dei dintorni può chiederne fino a 10 alla volta. Alla prima consegna viene fatta l’iscrizione al progetto. Tutto a costo zero. Info allo 055.645879.
A Milano ci sono iniziative dedicate espressamente a chi soffre di Alzheimer. Due passi nei musei è un percorso museale che coinvolge Gallerie d’Italia, Museo Poldi Pezzoli e Pinacoteca di Brera. Ogni anno da ottobre a giugno un appuntamento settimanale mira a stimolare chi soffre; in gruppetti di 10-12 persone, si guardano le opere insieme a un’arteterapeuta e al termine si partecipa attivamente a un laboratorio. Insieme a badanti o familiari.
Il progetto è gratuito, finanziato dalla Fondazione Manuli (www.fondazione-manuli.org) , che ha sposato quanto ideato dal MOMA di New York. In realtà la Fondazione dedica ai malati di Alzheimer molte iniziative, fra cui la danza movimento terapia e la musicoterapia con strumenti.
Ha anche creato l’esperienza dell’Alzheimer Cafè Milano per combattere l’isolamento sociale, attraverso il recupero dei contatti e degli scambi interpersonali, e favorire il mantenimento di abilità e funzioni.
L’iniziativa nasce nel 1997 da un’idea del medico olandese Bère Miesen, resosi conto che per i malati di Alzheimer le cure erano insufficienti e che era necessario investire nelle terapie psicosociali. Si diffuse poi in altre città sensibili al tema, come Londra, Vienna e Parigi.
Non si tratta semplicemente di un “pomeriggio diverso in compagnia e serenità”; presso l’Istituto dei Ciechi a Milano e presso RSA Saccardo, una quindicina di pazienti viene coinvolta in
- uno spazio (creato nel contesto di un bar) ludico-ricreativo e stimolativo-riabilitativo (giochi, letture, musica, attività motorie) per i malati di Alzheimer, mediante l’intervento di un terapista occupazionale e con il supporto di operatori e volontari per l’assistenza;
- intervento (in un locale separato) di esperti del settore (terapista, psicologo, medico, infermiere, assistente sociale, avvocato) che sensibilizzano e formano/informano i familiari dei malati su temi inerenti la malattia, permettendo agli stessi di avere spazi di condivisione e di scambio che fungano anche da auto-mutuo-aiuto;
- laboratori esperienziali per i care givers che possono così usufruire di varie attività al fine di ritrovare benessere durante il lungo percorso di cura del proprio caro;
- un momento comune conviviale che apporti coesione tra i partecipanti, in un clima empatico, assaporando insieme una merenda, con un sottofondo musicale di intrattenimento.
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